Condividi

È disponibile da venerdì 31 marzo in formato fisico e sulle principali piattaforme digitali l’album “Alboran Solo – The wind is coming” del pianista e compositore varesino Paolo Paliaga. Registrato lo scorso ottobre presso l’Artesuono studio recording di Stefano Amerio a Cavalicco (Udine), pubblicato dall’etichetta giapponese Da Vinci Publishing e distribuito da Egea Music, “Alboran Solo – The wind is coming” è il secondo album in piano solo del musicista lombardo, a oltre vent’anni di distanza da “Meriggi e ombre”.
Il nuovo lavoro include 17 brani, in gran parte originali, ma non mancano riletture personali di celebri composizioni e felici momenti improvvisativi, che testimoniano la fertile vena creativa dell’autore. Apre il disco “The song of waves”, pezzo evocativo del navigare e del movimento ipnotico delle onde sul mare (Paliaga è un appassionato velista), seguito da “Lejos”, dedicato alle vittime della pandemia da Covid. La terza traccia è una versione, personale ma rispettosa, di “You’d Be So Nice To Come Home To” di Cole Porter: uno standard grazie al quale Paliaga si confronta con la tradizione, non rinunciando a esprimere la propria idea del pianismo jazz. In “Surprise” il nostro si affida all’improvvisazione, alla ricerca di tutto il potenziale sonoro che il pianoforte offre, mentre in “Nothing serious” racconta lo spirito del blues senza suonare “il” blues, per esprimere una pulsazione e una dimensione jazz che sia anche libertà e innovazione. Il secondo omaggio dell’album è a Keith Jarrett, uno dei pianisti di riferimento di Paliaga (insieme a John Taylor, Brad Mehldau, Chick Corea e Richie Beirach), e alla sua “Prism”, composizione affascinante e articolata che per il musicista varesino è, da sempre, fonte d’ispirazione. Nel settimo brano del disco, “Ora non è allora”, Paliaga sottolinea l’importanza del presente, del qui e adesso, che non può e non deve essere contaminato dalle vicissitudini del passato, mentre in “Lakes” l’autore dà di nuovo spazio all’improvvisazione, con la quale sottolinea il fascino e la bellezza malinconica dei laghi, ambienti a lui cari. “O grande amor” di Tom Jobim è la base di partenza per lanciarsi in un’improvvisazione che da bossa nova diventa altro, pensando all’amato J.S. Bach e annullando le barriere e le etichette che troppo spesso diamo alla musica. In “Remembering Paris” le armonie che mutano evocano le passeggiate, fino a perdersi, nei quartieri meno conosciuti e più autentici della capitale francese, città in cui Paliaga ha vissuto per circa tre anni; “Evolving frug” è una composizione già registrata con l’Alboran Trio e qui ripresa sotto forma di suite, dedicata al figlio Nicolàs. Un’altra dedica (alla moglie Catalina) è il brano “Cancion”, caratterizzato da una melodia semplice come quella di una canzone. “The wind is coming”, la title track, è il tredicesimo brano dell’album: si tratta di una composizione di qualche anno fa (mai registrata prima) che rappresenta un nodo armonico che si scioglie dopo una tensione, metafora di ogni crisi che contiene il germe della sua soluzione, proprio come il navigatore che matura insofferenza per la fatica, prima che arrivi il vento a sbloccare l’impasse, facendo ripartire la navigazione, metafora del vivere. Ancora: “Our spanish love song” di Pat Metheny e Charlie Haden offre al musicista varesino la possibilità di improvvisare, pensando al brano come fosse una composizione classica e non necessariamente jazz. Nel disco c’è spazio per altre due cover, inframmezzate da “Finale di partita”, un puro lasciarsi andare nel suono e nel suonare, senza strutture: si tratta di “El pueblo unido jamás será vencido”, celeberrima hit di Sergio Ortega e del gruppo cileno Quilapayún («Una melodia commovente e bellissima, che parla di solidarietà, di lotte comuni e di una precisa visione del mondo. Credo sia sempre più attuale – dichiara il pianista – e mi è sembrato importante riprenderla per tenerne in vita lo spirito») e “Gracias a la vida” di Violeta Parra, cantautrice e poetessa cilena, che chiude l’album, proposta con un mood latino, tra leggerezza e imprevedibilità.
Afferma Paolo Paliaga: «Nel piano solo i tre elementi della musica – il ritmo, l’armonia e la melodia – si concentrano nelle mani del pianista, ma dipendono soprattutto dalla sua maturità artistica, dalla sua visione e dal suo approccio estetico al mondo. Il pianista gioca con questi tre elementi come un giocoliere lancia le sue clave al cielo e cammina sul filo dell’improvvisazione come un funambolo sulla fune, sospeso nel vuoto. Nel piano solo non ci sono compromessi, non ci sono reti di protezione né luoghi dove nascondersi o mimetizzarsi: il piano solo espone chi suona in tutte le sue dimensioni e non lascia scampo. Per questo è un’esperienza totale, completa, fascinosa e terribile al tempo stesso. In sostanza, è un’esperienza vitale».
Pianista e compositore interessato alla ricerca e all’esplorazione di nuove sonorità, Paolo Paliaga è un musicista che si muove da artista contemporaneo, non strettamente legato alla tradizione jazzistica ma pronto a valicare la linea di demarcazione tra generi e stili. Tra le sue collaborazioni spiccano quelle con Enrico Rava, Barbara Casini, Gianni Basso e Ares Tavolazzi in ambito jazzistico e con il pianista classico Roberto Plano, con il quale ha pubblicato il cd “Inspiration – Improvisations For Two Pianos”. Paliaga è attivo sulla scena nazionale e internazionale da molti anni con diverse formazioni e ha inciso più di una quindicina di lavori con i gruppi Alboran Trio, Horizon quartet e il quartetto che porta il suo nome. Con l’Alboran Trio, formazione completata dal contrabbassista Dino Contenti e dal batterista Ferdinando Faraò, si è aggiudicato nel 2020 con l’album “Islands” il prestigioso “Golden Prize”, riconoscimento per il miglior disco strumentale dell’anno assegnato dai critici della rivista giapponese Jazz Hyhyo.

 

 


Condividi